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Brigantaggio cilentano: La Banda Capozzoli
I fratelli Capozzoli, originari
da una famiglia di piccoli
possidenti di Monteforte
Cilento, hanno legato
storicamente il proprio nome a
quello dell'omonima comitiva di
"scorridori di
campagna o cospiratori
carbonari" che si raccolse
attorno a tre dei fratelli:
Donato, Domenico e Patrizio.
La banda dei Capozzoli, attiva
fin dal 1817, operò nel Cilento,
area geografica allora compresa
nel Regno delle Due Sicilie
pre-unitario. La vita della
comitiva conobbe il suo
drammatico epilogo con il
coinvolgimento politico nei Moti
del Cilento del 1828: prima di
allora, l'attività banditesca,
di tipo comune, aveva potuto
imperversare sul Principato
Citra per oltre dieci anni, un
tempo di sopravvivenza
insolitamente lungo per una
banda di briganti.
L'anima vera della banda
coincideva con il nucleo
iniziale, formato dai tre citati
fratelli. A guidarla era
Domenico, che, pur essendo il
minore di tutti i Capozzoli, era
dotato dell'indiscusso carisma
del comando. Al nucleo
originario si aggiunsero altri
due stabili sodali, che ebbero
però ruoli da comprimari: erano
Pasquale Russo e Francesco
Ciardella, entrambi di
Monteforte, legati da qualche
forma di parentela alla famiglia
dei Capozzoli.
Intorno ai cinque componenti
stabili della comitiva,
ruotavano inoltre altri vari
personaggi di eterogenea
estrazione, che si univano
occasionalmente alla comitiva
quando si realizzavano
temporanee convergenze di
interessi, finalizzate alla
concertazione di singoli atti
criminosi: poteva trattarsi, di
volta in volta, di omicidi,
furti in abitazioni, grassazioni
a danno di mercanti di
passaggio.
Attività cospiratoria
La notorietà di questo nucleo di
banditi e cospiratori è legata
soprattutto alla convergenza
politica che la sua azione
manifestò con le forze eversive
allora attive nel Cilento: nella
storia di questa banda, spicca
infatti il coinvolgimento nei
Moti costituzionali cilentani
del 1828, nel corso dei quali il
gruppo non si limitò solo a
garantire una pura e semplice
adesione, ma finì per assumere
anche un ruolo catalizzatore
delle «molte spinte eversive del
movimento prerivoluzionario».
Patrizio, Donato e Domenico,
scampati all'estero dopo il
fallimento della rivolta, fecero
poi ritorno nel Regno delle Due
Sicilie, finendo nelle mani
della polizia borbonica, il 17
giugno 1829, traditi da un
amico. Imprigionati prima a
Vallo, e poi a Salerno, furono
sottoposti a un sommario
processo e condannati. Dopo che
fu emessa la sentenza capitale,
furono condotti nel Cilento per
esservi fucilati a Palinuro, il
27 giugno 1829, di fronte al
telegrafo che avevano incendiato
l'anno precedente. Gli furono
mozzate le teste che furono
portate in giro nei paesi
circostanti per servire da
monito alle popolazioni.
Altri due fratelli, Luigi e
Gaetano, furono attivi due
decenni dopo, prendendo parte ai
moti cilentani del 1848: il
primo morì il 26 settembre 1849
a seguito di in uno scontro a
fuoco, mentre il secondo,
condannato alla galera, uscirà
di prigione solo nel 1860,
vedendosi riconoscere un
vitalizio dal Regno d'Italia.
Legami con l'eversione
borghese del Cilento
Dall'originario rifugio, nelle
impervie e boscose zone delle
montagne di Monteforte, Magliano
Vetere e Capaccio, la banda
seppe darsi una notevole
articolazione organizzativa, che
gli permise di irradiare la
propria sfera d'azione su tutto
il territorio del distretto di
Vallo della Lucania, e di
garantire un'eccellente
longevità alla loro banda. A
contribuire in maniera
essenziale a questo duraturo
successo, fu l'abilità
dimostrata nell'intessere
stretti legami con la borghesia
locale e con esponenti delle
sette cospiratrici dei Filadelfi.
I legami con il retroterra
sociale non si risolvevano in
rapporti esclusivamente
clientelari, di "subordinazione
[...] economica e sociale" nei
confronti dei manutengoli
borghesi, ma si caricavano di
significati e spessori più
propriamente politici.
Ma la natura di tali contenuti
politici, germogliati su un
terreno prevalentemente
clientelare, intessuto di
rapporti personali, e di
subordinazione socio-economica,
può comunque far ritenere che
l'adesione al ribellismo
politico non fosse vissuta dai
Capozzoli in piena
consapevolezza.
Tra le famiglie illustri con cui
stabilirono legami di
connivenza, vi furono i fratelli
Santoro di Orria, i fratelli De
Mattia di Vallo della Lucania,
la famiglia Mazziotti di Celso,
i Gammarano di Montano Antilia,
Antonio Galotti e il canonico
Antonio Maria De Luca di Celle
di Bulgheria.
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