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Per la sua posizione strategica si presume che al tempo dei Romani un posto di guardia era situato nella parte alta dove forse sorse anche un tempio pagano, sostituito successivamente dall’antichissima Chiesa di San Leone. Le Taverne (lungo la via Provinciale, nell’omonima contrada) potrebbero essere state fin dai tempi antichi una stazione di sosta lungo il tracciato della più antica strada consolare romana collegante Capua con Reggio.

La maggior parte degli storici è pertanto, concorde che l’insediamento odierno di Sala trae origine dalla distribuzione di Marcellianum[2], i cui abitanti vennero a stabilirsi sulla fascia immediatamente soprastante l’antica necropoli. Che si trattasse degli abitanti di Marcellianum, o di altrove, sembra ipotesi comunque attendibile, perché sono molti i toponimi – a cominciare dalla denominazione della città[3] – che ricordano la dominazione longobarda e successivamente quella normanna, e all’inizio dell’anno Mille.

Verosimilmente per la sua morfologia Sala sorse nell’Alto Medioevo (VII-VIII secolo d.C.), allorquando un nucleo di Longobardi si stabilì su un territorio con probabili finalità militari, creandovi una struttura fortificata (il castrum o castello) e anche una residenza signorile (una curtis o un palazzo, con una sala). Di questa fase originaria non resta traccia materiale evidente, né si coglie un riflesso nella documentazione oggi conservata negli archivi pubblici[4]. Comunque sia, se davvero vi fu all’origine un nucleo longobardo, così come il toponimo germanico Saal-Sala induce a ipotizzare, esso potrebbe aver assunto una fisionomia meglio definita dopo il Mille e, più precisamente, durante la dominazione normanna (sec. XI-XII): a quel periodo, infatti, risalirebbe la fondazione di alcune chiese cittadine, come San Leone IX,[5]Santo Stefano e Sant’Eustachio[6] (Tavola “Sala in epoca normanna). Nella fioritura di quel periodo, prodotta anche dalla generale e favorevole congiuntura demografica del tempo, pare che l’insediamento sia andato configurandosi come una tipica Terra normanna[7], con un nucleo abitato principale e con alcuni casali rurali dislocati in vari punti del suo territorio (San Damiano, Santa Lucia, Sant’Angelo).

 

[Nota 1] E. Greco, Magna Grecia, Edizioni Laterza, Bari 1980, pag. 56 e seguenti.
[Nota 2] Cfr. L. Pica, Sala Consilina, Salerno 1971, pag. 7
[Nota 3] Il toponimo “Sala” in questo periodo significava la “residenza signorile nella curtis“. Cfr. G. Vitolo, La Campania nel Medioevo, in Storia arte e cultura della Campania, pag. 56
[Nota 4] La storia di Sala Consilina è povera di notizie certe, perché in occasioni di sommosse, repressioni e due distruzioni (1246 e 1497) con relativi incendi del Castello, furono dispersi, danneggiati o distrutti gli archivi pubblici e privati.
[Nota 5] Antica chiesa dedicata al papa Leone IX, la cui fondazione risale verosimilmente al XII secolo: la chiesa – secondo una tradizione locale – sarebbe sorta su di un precedente tempio intitolato alla Santa Croce, a sua volta sovrappostosi a più antico culto pagano.
[Nota 6] La notizia della fondazione della chiesa di Sant’Eustachio è riportata dall’erudito Domenico Alfeno Vairo (sec. XVIII)  che assegna la sua fondazione al 1130, in età normanna.
[Nota 7] Nei secoli passati, ma l’uso è tuttora vivo tra la popolazione, l’attuale corso Gatta era conosciuto col toponimo in mezzo la terra; esso indicava il centro dell’antico paese. Il termine Terra è verisimilmente un’eredità medioevale e lo ritrova in genere riferito ad insediamenti urbani sorti tra i secoli XIXII, cioè in età normanna.

Medioevo

 

Nel Duecento il Castello e la Civita di Sala dovevano aver già guadagnato una posizione di predominio, per la particolare posizione  strategica e per l’inaccessibilità dei luoghi.

Il paese si sviluppava tra il Vallone di Sant’Eustachio e quello di Valle Ombrosa, nella località denominata appunto Civita[1]. In epoca normanna sorsero probabilmente anche i casali di Sant’Angelo in Fonte, San Damiano, San Nicola e Santa Lucia.

Lungo il percorso dell’odierna via Silvio Pellico si avverte la dimensione dell’antico centro abitato che, racchiuso nella compatta cortina muraria, era attraversato da strade erte e strette; era possibile accedervi solo attraverso tre antiche porte, una delle quali era il cosiddetto Portello; si localizzava proprio in questo tratto di strada, nei pressi della chiesa di Santa Maria. Le altre due porte erano Porta Gagliarda, tra Santo Stefano e Sant’Eustachio e infine  Porta La Terra, vicino la casa dei Gatta all’imbocco della Terra(Tavola “Sala durante il dominio dei Normanni”). L’importanza di Sala cresce gradualmente: durante il regno svevo, infatti, intorno al 1230, Federico II dispone un restauro del suo castello[2], ai fini della difesa territoriale ordinando che la fortificazione venisse riparata e che ad essa concorressero Padula, Atena, Polla, Diano e i suoi Casali. Lo stesso sovrano, alcuni anni più tardi, nel 1246, a causa di una congiura ordita dai Sanseverino e da altri Baroni del Regno, cinge d’assedio Sala, espugnandovi la roccaforte e apportando una prima grave distruzione[3] (Figura 2).

Figura 2 – Il Castello e la cinta muraria.

Ripresasi durante l’epoca angioina e aragonese, Sala subisce un’altra distruzione nel 1497, allorquando,  sempre a causa dell’insubordinazione dei Sanseverino, suoi Signori feudali,  gli Aragonesi ne assediano il castello, distruggendolo definitivamente e arrecando pesanti danni all’insediamento, agli edifici pubblici e privati, distruggendo deliberatamente la documentazione e ogni altra testimonianza monumentale della famiglia baronale ribelle [4]

Veduta della vallata, dalla Civita.

Il trecento era stato un secolo tra i più tristi per Sala Consilina, perché, a cominciare dal 1318, la popolazione fu decimata da innumerevoli pestilenze[5], tutti i villaggi ad esclusione di S. Damiano, si spopolarono soprattutto con la peste del 1348.

Pregevole espressione di  architettura medievale è sicuramente la chiesa di S. Leone, la cui fondazione risale verosimilmente al XII secolo, sorgendo probabilmente sulle rovine di un precedente tempio pagano (Figura 4).

 Figura 4 – Chiesa di San Leone IX.

Altra antica chiesa parrocchiale, di cui si hanno notizie a partire dal 1300, è quella di San Nicola, posta in Piazza Umberto I. L’edificio è di piccole dimensioni e di semplice struttura, con una modesta navata, sul lato destro della quale se ne affianca un’altra minore, separata da strutture ad archi (Figura 5).

Figura 5 – Chiesa di S. Nicola

Sempre nell’odierna Piazza Umberto I al lato della chiesa di San Nicola sorgeva anche la chiesa della SS. Annunziata, fondata dall’Università Cittadina intorno al 1330 come ospedale per gli infermi e per i pellegrini, affidato all’Ordine dei Cruciferi, i quali l’abbandonarono nel 1653. La struttura edilizia, che ha subito nel tempo vari rimaneggiamenti, presenta sul prospetto un piccolo rosone che potrebbe appartenere alla fabbrica trecentesca (Figura 6).

Figura 6 – Chiesa della SS. Annunziata

Altra splendida chiesa del XII secolo è quella di S. Stefano, originariamente era costituita da una cappellina tuttora esistente sul lato sinistro ed inglobata nella costruzione successiva. La chiesa presenta una pianta longitudinale con una navata centrale, affiancata da quattro cappelle pregevolmente decorate. Il prospetto frontale è di ispirazione romanica come era prima che subisse vari rifacimenti che ne avevano alterato la simmetria (Figura 7).

Figura 7 – Chiesa di S. Stefano

Un’autorevole notizia, tramandata dall’erudito giureconsulto Domenico Alfeno Vairo (sec. XVIII) assegna la fondazione della chiesa di S. Eustachio al 1130, in età normanna. Di quell’epoca non ci è pervenuto nulla a causa di rifacimenti effettuati nel XVIII secolo.

Di quel periodo è anche la cappella di S. Sofia, posta all’incrocio con via fratelli Bandiera, diventata in epoca moderna di patronato gentilizio. La stessa fondazione della chiesa di S. Pietro può essere fatta risalire al XIV secolo, ma probabilmente anche a tempi più remoti.

Nel punto più alto dell’abitato si presenta il palazzo Tieri con una caratteristica torre quadrata con merlatura. L’edificio si trova visibilmente edificato su preesistenti strutture edilizie, in origine forse destinate a cinta muraria. La posizione eminente su tutto l’abitato e l’aspetto di struttura fortificata inducono a riconoscere al palazzo un’importanza che, molti secoli addietro, esso potè avere nell’intero contesto cittadino (Figura 8).

Figura 8 – Palazzo Tieri

Nella Civita del paese sorgeva il palazzo della famiglia Bove, che era già attestata col censimento aragonese del 1489. Si evidenzia in particolare di quell’epoca la corte interna e la caratteristica torre semicilindrica che si pone a guardia del suo ingresso, proponendolo come esempio ragguardevole di struttura edilizia fortificata (Figura 9).

Figura 9 – Torrino del Palazzo Bove

Alla fine del XV secolo il paese presentava sugli spalti rocciosi il nucleo del Castello, che in varie ed alterne vicende occupò tutto l’acrocoro di quell’altopiano roccioso; sotto di esso sorsero le abitazioni dei feudatari e dei signorotti locali, con chiese e cappelle gentilizie.

Nel centro storico si può leggere oggi l’antico insediamento urbanistico, sorto in epoche in cui non erano codificate norme e tecniche architettoniche. Esso risultava sviluppato con alternanza di orti a secco, abitazioni, vie, abitazioni, in modo che ogni costruzione godeva di un unico ed impareggiabile panorama che gli permetteva di “dominare” dall’alto i suoi possedimenti (TAV. “Sala alla fine del XV secolo”).

All’esterno delle mura  nel casale di Sant’Angelo nel XIV secolo si sviluppò ad opera della famiglia Valenzano un convento di suore  di San Bernardo (Figura 10).

Figura 10 – Ruderi del Convento di S. Angelo


[Nota 1] Toponimo d’origine latina, indicante in genere il nucleo originario di insediamento, la sua parte più antica.
[Nota 2]E. Sthamer, Dokumente zur Geschichte der Kasellbauten Kaiser Friederichs II und Karls I von Anjou, Leipzing, Hiersemann, 1912, p. 109
[Nota 3]Cfr. G. Volpi, Cronologia de’ Vescovi Pestani, Napoli 1752, p.25
[Nota 4] Sotto i Normanni il castello di Sala fu infeudato ai Guarna, conti di Marsico. Nel 1236 il feudo passò a Guglielmo Sanseverino, che sposò Isabella Guarna. I Sanseverino tennero a lungo il dominio su Sala. Il castello, dopo aver resistito all’assedio di federico II durante la congiura di Capaccio (1246), fu espugnato e quasi distrutto: fu poi ricostruito, prima della morte dell’imperatore svevo, col concorso dei paesi vicini.

Con l’avvento di carlo d’angiò, a Ruggiero Sanseverino, che lo aveva servito, fu restituito lo Stato feudale di Marsico con sala. Durante la guerra del Vespro, per la fedeltà dimostrata da Tommaso Sanseverino, Sala fu esentata nel 1295 e nel 1300, con gli altri paesi del feudo, dal pagamento delle tasse. Dei quattro casali di Sala, due, San Damiano e Sant’Angelo, vennero dati alla famiglia Valenzano in cambio di uno sparviero annuo. Tranne San Damiano, gli altri villaggi si spopolarono con la peste del 1348.

Nel 1488 la curia di Ferrante d’Aragona ne vendette la proprietà di Sant’Angelo con tutte le sue pertinenze all’Università di Sala. In seguito alla Congiura dei Baroni del 1485, Antonello Sanseverino perdette le sue terre e, con esse, Sala, tuttavia le riottenne con l’aiuto del re francese Carlo VIII. Nel 1497 il castello fu nuovamente assediato, conquistato, secondo la tradizione popolare, per il tradimento di Giovanni Bigotti, e completamente distrutto. Per tre anni Sala fu concessa dal re Cesare d’Aragona.

[Nota 5] A. Sacco, La certosa di Padula,vol. I, p. 171 e p. 209

l ’500 e il ’600

 

Nell’età moderna, l’insediamento rifiorisce lentamente: il Cinquecento  è un secolo di generale ripresa demografica e ciò favorisce in qualche modo anche la situazione locale, che risente tuttavia dell’opprimente regime politico e fiscale, tipico della dominazione vicereale spagnola.

I segni della depressione economica e sociale si manifestarono agli inizi del Cinquecento; nel 1532, i fuochi (alloggi familiari) erano solo 283[1]. Nel 1595 essi erano, però, già saliti a 524 (Figura 11).

Figura 11 – Il Vallo di Diano e Sala nel ’500.
Carta Vaticana 1572-85. A. Sacco, vol. I, Tav. IX.

I Sanseverino dominarono Sala fino al 1548. Nel 1552 il feudo fu venduto al principe di Stigliano e nel 1558 passò al principe Scipione Carafa, che per la sua crudeltà fu assalito e ucciso. Il fratello del Carafa vendette allora Sala alla marchesa Ippolita Filomarino. Nel 1579 Sala ottenne di diventare città demaniale, dipendente direttamente dal re, col titolo “regia fidelis dilecta aurea”. Una relativa autonomia, non senza contrasti con la feudalità, dovette godere già in precedenza almeno dal tempo dei normanni; al 1378 risalivano gli Statuta in Ordinatione Universitatis Hominum Terrae Salae, ora smarriti (Figura 12).

Figura 12 – Il Vallo di Diano alla fine del ’500.
Disegno Cartaro-Stelliola del 1590-94. Biblioteca Nazionale Napoli.

Alla fine del Quattrocento Giovanni Bigotti aveva donato al monastero di Padula i beni ereditati dal padre e situati a Venosa e a Sala Consilina. I certosini edificarono su questi beni la prima Grancia di Sala (La Vecchia) che è attigua al Palazzo Bigotti e sul portale reca, scolpita su pietra, la graticola con le iniziali dell’ordine certosino.

Di rilievo è la loggia interna e quattro archi sospesa su medaglioni curvi di pietra ed addossata a un lato del cortile quadrangolare, al quale si accede dall’ingresso principale tramite un androne, di analoga pianta, terminate con un ampio cortile (Figura 13).

 Figura 13 – La Grancia di S. Lorenzo

La situazione si aggrava drasticamente con la metà del secolo XVII, quando la peste del 1656 sconvolge tutto il Mezzogiorno: anche Sala viene decimata dall’epidemia, con conseguenze pesanti sulla sua struttura demografica, economica e sociale.

Nel 1656 era la peste a ridurre i 611 fuochi del 1648 ai 189 del 1669. La spaventosa epidemia è descritta dal medico del tempo Geronimo Gatta[2] in forma epistolare, rivolta alla contessa di Buccino donna Beatrice Caracciolo.

Figura 14 – La Valle di Diana e Sala.
Atlante di Mario Cartaro del 1613

Scelto come sede dei vescovi di Capaccio che vi rimasero fino al 1850, fu venduto nel corso del Seicento a Francesco Filomarino, principe di Rocca dell’Aspro, che ne ebbe la giurisdizione baronale. La cessione provocò forti tensioni tra il principe e il vescovo, alle quali si unì il malcontento popolare contro i nobili, che raggiunse l’acme nel 1647, in coincidenza coi moti di Masaniello a Napoli: in tale occasione un “collettore de’ Regii Fiscali” fu legato a un olmo nella pubblica piazza e arso vivo, e anche il barone della città, Carlo De Mari, venne ucciso insieme a suo cugino.

In seguito la giurisdizione baronale di Sala venne ceduta al duca Carlo Calà di Diano (1665); e poi passò agli Schipani, che la tennero dal 1706 al 1807 (Figura 15).

Figura 15 – Il Vallo di Diano nel ’600.
A. Sacco, vol. I, p. 203

In quel periodo, grazie alla scelta da parte dei vescovi di Capaccio di Sala Consilina come sede vescovile, si sviluppò l’abitato intorno alla chiesa di S. Pietro e al vescovado. Il borgo medievale si estende in maniera longitudinale verso Sud lungo le pendici della montagna, ottimizzando sempre l’esposizione verso il sole e i terreni della vallata. Nascono così i rioni della Piazzarella ( Piazzetta Gracchi) e di S. Raffaele (TAV “L’espansione di Sala con l’insediamento del Vescovado”).

La chiesa di San Pietro, sicuramente sorta prima del XVI secolo, fu scelta per volontà dei Vescovi della Diocesi di Capaccio, quale chiesa Cattedrale quando Sala, nel 1629, divenne sede staccata della diocesi di Capaccio. In questa circostanza il clero di Capaccio donò preziosi arredi per il suo decoro. Da un’iscrizione ancora leggibile nel campanile della chiesa, si sa che monsignor Carafa, successore del Brancaccio, nel 1641 ne fece completare la fabbrica. Purtroppo a causa di un incendio, avvenuto nel 1705, nessuna testimonianza di quell’epoca è giunta a noi.

Un nuovo palazzo fu edificato per la prima sede del vescovo e per un annesso seminario. Il palazzo, oggi sede della casa circondariale, presenta lungo le sue mura stemmi e iscrizioni che ne tramandano il ricordo. Di notevole pregio è il portale di pietra dell’arco a tutto sesto che è posto all’ingresso della fabbrica, così come la corte interna caratterizzata da una scala settecentesca (Figura 16).

Figura 16 – Ex Palazzo Vescovile

Nel nuovo quartiere di S. Raffaele viene eretta anche la cappella dell’omonimo rione. Interessante è il campanile a vela inglobata nella muratura e il rosone, testimonianze risalenti alla fine del Seicento e agli inizi dell’Ottocento (Figura 17).

Figura 17 – Cappella di S. Raffaele

Nel luogo anticamente detto la Valle sorgeva l’abitazione  della famiglia Gatta, fiorita tra il XVII-XVIII secolo, delle strutture originarie furono purtroppo abbattute intorno al 1970; rimangono, però, alcuni elementi dell’epoca: il portale di ingresso, in muratura sul quale si scorgono ancora alcune tracce di affreschi dell’epoca (Figura 18).

Figura 18 – Palazzo Gatta

Altra pregevolissima fabbrica, sorta alla fine del ‘600, fu il Palazzo Vairo, iniziata da don Domenico Vairo nel 1689, con l’ingresso posto all’inizio dell’attuale via Indipendenza. Il palazzo fu ingrandito e rimaneggiato nella metà del ‘700.

Imponente è anche l’originaria struttura della famiglia Bigotti, ridotta oggi ad un rudere, nel quale sono però vivi i segni di una fabbrica pregevole (Figura 19).

Figura 19 – Ruderi del Palazzo Bigotti


[Nota 1] L. Cassese, La vita sociale nel Vallo di Diano dal secolo XVI alla vigilia della rivoluzione del ’99, in “Scritti di Storia Meridionale”, La veglia Editore, Salerno 1970, p. 35
[Nota 2] V. Bracco, Polla, p. 196

il ’700

Il Settecento è il secolo che fece registrare l’ascesa più consistente dell’insediamento: i 2.335 abitanti del 1708 nel 1797 erano saliti a 5.700, malgrado il perdurare della depressione economica e delle lotte secolari con Teggiano[1], per strappare alle acque del Tanagro le poche terre da coltivare. Accanto alla ripresa demografica si verificò la ristrutturazione del patrimonio edilizio ad opera principalmente delle numerose famiglie patrizie, che nel ‘700 edificarono gran parte delle loro dimore al di fuori della Civita(Figura 20).

Figura 20 – Il Vallo di Diano agli inizi del ’700.
Disegno di D. De Rossi del 1714. Biblioteca Nazionale Napoli

E’ possibile ammirare Sala in quell’epoca grazie ad una splendida incisione di Gherardo Saverio Gatta del 1728, attraverso la quale il volto dell’antica cittadina si è tramandato fino ai nostri giorni: un grazioso centro abitato con le sue strade, le case, i palazzi, le chiese… (Figura 21 ).

Figura 21 – Sala nel Settecento (G. S. Gatta, 1728)

Dalla litografia  si legge lo sfondo “…del Massiccio della Maddalena, sul punto più in alto del quale si scorgeva la piccola cappella della Madonna di sito Alto; poco più giù e ai due lati del disegno, da un canto i ruderi d’un vecchio maniero, dall’altro il santuario dedicato al “gloriassimo Principe S. Michele Arcangelo” Protettore della Città di Sala, posto sull’apice di un colle della Balzata. Dalle altezze di quei luoghi impervi e solitari, dalle mura dirute del castello superbo a quelle mistiche del santuario dal quale l’Arcangelo garantiva una ben più sicura protezione, l’immagine mostra, scivolando dalle rapide balze appenniniche, la più tranquilla e piana  fascia di terra a piè dei monti. Qui, adagiata inconsapevolmente nei pressi di un secolare sepolcreto degli antichi padri che un tempo avevano animato quel posto di culture arcaiche, si estendeva la città. Le sue case addossate le une alle altre, si disponevano in lunga fila dal vallone di Sant’Eustachio al cinquecentesco convento dei Padri Cappuccini.   I rioni erano lì, agglomerati intorno a precisi punti di riferimento, a celare il segreto di una storia fino a quel tempo mai interrogata, e, mentre l’occhio scorreva tra quelle piccole e grandi case, tuguri e palazzi, variamente dipinti a colori vivaci e popolari, alti campanili interrompevano con acuto senso di verticalità quella serie allineata di costruzioni uniformi nella successione orizzontale. Da un lato all’altro dell’abitato si susseguivano le antiche chiese dove s’affollavano un folto clero e assidui fedeli. Diversi tra loro per classe e per natali, erano tuttavia uniti da una profonda, comunque religiosità, alimentata quotidianamente da una tradizione secolare. La vita era dura, l’indigena cronica, la gente povera; la fede rischiarava quei volti e dava loro un ricetto accogliente nelle chiese di Sant’Eustachio, San Leone, Santo Stefano. E ancora, tra le arroccate case della Civita, si scorgeva che la piccola traccia di un muro sepolto nel cemento e il nome, ultimo segno tenace dell’antica fondazione. Scendendo più a valle, si distinguevano poi, quasi due corpi gemelli, le chiese di San Nicola e della santissima Annunziata, quest’ultima costruita nel XIV secolo dell’Università di Sala. Di li continuando, sarebbe emersa la sagoma di un’altra chiesa, San Pietro, della cui costruzione originaria non resta che il campanile, il più bello e singolare tra tutti per mole e altezza. In essa i Vescovi di Capaccio, che in Sala fissarono per lungo tempo la loro dimora, posero le insegne religiose, che conferivano distinzione e prestigio: sull’arco trionfale erano infatti la mitra e il pastorale, simboli di quel potere spirituale che da Sala s’irradio per la estesa diocesi.

Le case ormai diradavano nell’ultima propaggine del Borgo Nuovo; poco più discosto, all’estremo lembo di quell’immagine, v’era il convento dei Cappuccini, delimitato da un solido recinto di spesse mura. Di buon mattino, i fraticelli partivano a mendicare per i paesi limitrofi, donde tornavano sul far della sera con i frutti generosi della questua.

Gli spazi, che dal limite dell’abitato digradavano al fondovalle all’antica via consolare, erano tutti fitti di preziosi uliveti, allora come ancora in parte oggi, cornice sempreverde a quel quadro variamente composito da montagne brulle e pericolosamente spoglie, da mura turrite e dalla lunga fila di case, ove si conduceva una vita laboriosa” (Enrico Spinelli,“Sala nel Settecento”, edizione della biblioteca di Sala Consilina  1983).

Indubbiamente il secolo XVIII rappresento un momento significativo per il progresso della città registratosi in quella occasione e a tutt’oggi ancora evidente nel complesso di significative testimonianze.

Alla notevole contrazione demografica verificatasi in seguito alla peste del 1656, tanto che il numero dei fuochi si era sensibilmente ridotto dai  611 del 1648 ai 189 del 1699, fece seguito, lungo il corso del settecento, una graduale ripresa che porto’ il numero dei cittadini dai 2335 del 1708 ai 5700 del 1797. A quella data, Sala costituiva, dopo Padula, il centro piu’ popoloso del Vallo (Figura 22).

Figura 22 – S. Michele, patrono di Sala, in una rara incisione settecentesca

L’incremento demografico produsse diversi effetti che oggi riusciamo ancora a cogliere nella loro portata; primo fra tutti, lo sviluppo dell’abitato, che si arricchiva di un notevole patrimonio edilizio. Lunghe cortine di case a schiera dall’Ariella a San Raffaele, per il piu’ compatto e fitto agglomerato compreso tra Sant’Eustachio e la Valle, ne sono testimoni attraverso le date, ricorrenti numerose su chiavi di volta ed architravi. Per tutto il percorso correva la fila delle case; le une sulle altre e simili tra loro, tutte con la porta sulla stretta ed unica via di passaggio, ognuna col suo pezzetto d’orto che digradava a valle tra terrazze d’ulivi (Tav. “La struttura urbana”).

Le famiglie gentilizie, tipica espressione di quella nobiltà terriera del nostro Mezzogiorno, edificarono le proprie dimore, lasciando così segno eloquente di per sé per gli anni a venire: nei primi del secolo i Caratù, i Grammatico, gli Acciari arricchirono la città di veri e propri palazzi, resi ancor più superbi dal gusto e dalle virtù ornamentali di quell’epoca.

Il palazzo Cardinale, nel quartiere di San Raffaele, rappresenta molti elementi decorativi, scaloni in pietra e pavimenti in cotto (Figura 23).

Figura 23 – Palazzo Cardinale

Nelle vicinanze della chiesa di S. Pietro, cattedrale a quel tempo, sorge il monumentale Palazzo Acciari (ora Vesci) caratterizzato da un’ imponente ed artistico portale d’ingresso con arco in pietra di Padula e fronte con stemmi, poggiante su due possenti colonne coronate alla sommità da pregevoli capitelli; l’architrave superiore sorregge la bellissima e decorata balaustra in colonnine di pietra che protegge la terrazza.

Dal portale si accede in uno spazioso atrio rettangolare a sostegno della terrazza sovrastante con struttura ad arcate di aspetto rinascimentale: da una parte vi è un piccolo giardino e di fronte lo scalone principale in pietra, che porta al piano superiore costituito da diversi grandi e maestosi ambienti, oggi vuoti e disabitati. Nelle cantine sottostanti è tuttora conservato un grande torchio vinario in legno, perfettamente funzionante ed in buono stato di conservazione (Figura 24).

Figura 24 – Palazzo Acciari

Altro complesso edilizio imponente del secolo XVIII è l’edificio appartenuto alla famiglia baronale dei Grammatico, titolare del feudo di San Damiano, la cui presenza è documentata a Sala sin dal 1489. L’edificio, nonostante un certo abbandono e taluni interventi che, in tempi recenti, ne hanno deturpato l’aspetto, rivela ancora le caratteristiche del suo tempo: il portale di pietra, poggiante su due leoni stilofori, con bugne dai fregi floreali e animali; l’imponente stemma baronale; mascheroni, balconi e finestre realizzati in pietra locale; corte interna lastricata e scalone pure in pietra; antico giardino (Figura 25).

Figura 25 – Palazzo Grammatico

Nelle vicinanze del Palazzo Grammatico si intravede anche il Palazzo della famiglia Caratù che presenta un suntuoso portale di ingresso con stemma familiare sovrastante (Figura 26).

Figura 26 – Palazzo Caratù

Lo stesso Palazzo Bove subì in questi anni grandi lavori di ristrutturazione, come sono testimoniati dal pregevole portale di ingresso nella corte in pietra di Padula (Figura 27).

Figura 27 – Palazzo Bove

Un altro pregevole portale è quello del Palazzo Falcone, anch’esso in pietra di Padula (Figura 28).

Figura 28 – Palazzo Falcone

Anche il palazzo Vairo subì in quel periodo grandi opere di ristrutturazione che lo ampliarono e lo arricchirono di molti elementi ornamentali.

Nel 1765 i fratelli Pietro e Michelangelo Vajro fecero costruire nel giardino un pozzo con conchiglia su cui è incisa un’epigrafe in latino. Ai due lati cariatidi sorreggono due colonne corinzie, sulle quali poggia una trabeazione sormontata da un busto. Il palazzo è articolato su tre piani con copertura e giardino con il pozzo, fontana e vasca con zampillo. Al piano nobile gli affreschi sono rifacimenti di guazzi risalenti al ‘600/’700 (uno degli autori era un Volpe di Padula) (Figura 29).

Figura 29 – Palazzo Vairo

Anche l’odierno corso Gatta presenta, lungo i lati della stretta strada, alcune costruzioni di un certo interesse: si tratta di edifici sette-ottocenteschi, un tempo appartenuti a famiglie della borghesia cittadina. Un esempio è il Palazzo Romano, arricchito da un portale in pietra a tutto sesto sormontato dallo stemma familiare: la lupa capitolina che allatta Romolo e Remo (Figura 30).

Figura 30 – Palazzo baronale Romano

Testimonianze di quel perduto splendore anche le cappelle gentilizie degli Acciaro (Figura 31) e dei Bigotti (Figura 32), che sorsero ricche di marmi policromi e di pregevoli pitture nei pressi di quelle abitazioni.

 

Figura 31 – Cappella Acciari

 

Figura 32 – Cappella Bigotti

Ed ancora: fu ristrutturata la vecchia chiesa di S. Eustachio, da tempo ormai degradata nella fabbrica per effetto di antichità (Figura 33).

Figura 33 – Chiesa di S. Eustachio

Arricchita di pregevoli stucchi, la chiesa di S. Stefano, che si abbellì anche di affreschi firmati da un’artista locale, Anselmo Palmieri da Polla, molto attivo e rinomato a quell’epoca (Figura. 34).

Figura 34 – Chiesa di S. Stefano

Furono anni di fervore costruttivo e le maestranze locali, giovandosi di quella favorevole opportunità, ebbero modo di perfezionare e qualificare la loro opera ora nel lavorare abilmente la pietra a scalpellatura, ora nel fornire arredi e suppellettile, degni del migliore artigianato.

Singolarmente significativo fu questo periodo per la città di Sala, la cui nobiltà fu illustrata esemplarmente da due studiosi, egregi per dottrina e virtù morali: Costantino Gatta e Alfeno Vairo; entrambi di nobilissimi natali, ci hanno reso eredi di notevoli frutti che il loro sapere produsse. Il primo cresciuto ed educato in una famiglia in cui la medicina, le scienze giuridiche e storiche erano esercitate con particolare cura e dedizione, si rese benemerito nella professione medica, nonché per i suoi studi storici sulla Lucania, che egli pubblicò in opera a stampa.

Domenico Alfeno Vairo, teologo dottore in utroque jure, giurista e storico al tempo stesso, fu presso il prestigioso Studio di Pavia professore universitario di chiara fama; per i suoi meriti di scienziato fu acclamato Rettore di quell’Università, mentre intratteneva fitte corrispondenze con le più eminenti intelligenze di quel tempo. Una vasta produzione di opere ci tramanda il suo studio e il suo sapere giuridico, che fornirono per il tempo a venire esempio per gli altri illustri dottori del giure, che la città vanta: da Diego Gatta a Giuseppe Mezzacapo, da questi ad un altro Principe del Foro, nostro contemporaneo, l’avvocato Alfredo De Marsico.


[Nota 1] Cfr. Cassese, op. cit., p. 398.

L’800

Nell’Ottocento soprattutto durante il Decennio francese (1806-1815), si pongono le basi per le trasformazioni più importanti che segneranno le vicende cittadine: Sala, pur conservando le sue caratteristiche originarie di centro agricolo, andrà assumendo gradualmente importanza come sede amministrativa, con propensione per quelle attività economiche e commerciali che, a tutt’oggi, la caratterizzano nel Vallo di Diano. Si tratta di un cambiamento profondo, con alcuni riflessi certamente positivi sul piano civile e socio-economico, che è protratto ancora per tutto questo secolo (Figura 35).

Figura 35 – Il Vallo di Diano agli inizi dell’800.
Dall’Atlante del Rizzi Zannoni

Durante la repubblica partenopea del 1799 gravi fatti di sangue avevano turbato ancora una volta la vita del paese, per effetto della rivolta sanfedista guidata da Michele De Donato. Nel Decennio francese, con la legge dell’8 agosto 1806, Sala fu scelta come capoluogo di uno dei quattro distretti circondariali della provincia di Salerno.

Al tempo della Carboneria a sala facevano capo ben tre “vendite”: Consilina cosmopolita, Scuola della virtù e Sferza dei vizi. Ciò non impedì al re Ferdinando II di Borbone, in viaggio verso le Calabrie, di fermarsi a Sala, nel 1832, nel palazzo di Gaetano De Vita. Ma quando lo stesso re, nel 1848, dopo aver concesso la Costituzione la ritirò, i salesi dichiararono decaduta la dinastia dei Borbone e proclamarono la città sede del governo provvisorio. La rivolta fu tuttavia repressa dalla gendarmeria borbonica, che mise il paese in stato di assedio. Il 30 agosto 1860, infine i capi liberali stabilirono a Sala il governo provvisorio, e il 5 settembre vi giunse Giuseppe Garibaldi, in onore del quale vennero eretti due archi di trionfo.

Nell’Ottocento la popolazione continuò a crescere arrivando a 8.181 abitanti nel 1871. Ma, dopo i molti contributi dati alla causa del Risorgimento che proprio a Sala, perché sede di distretto, ebbero le più solenni manifestazioni sino all’arrivo di Garibaldi nel ’60, a nulla valsero i generosi tentativi del delegato Alfieri d’Evandro per la “ricostruzione morale e civile di questa vasta zona del Salernitano”[1]. Il Comune di Sala fu, infatti, uno dei primi a registrare le difficoltà economico-sociali del tempo, malgrado l’Unificazione del Paese, e a dare inizio a quel pesante fenomeno di esodo che ancora sussiste. Nel 1881 la popolazione si era, difatti, già ridotta a 6.018 unità, di poco superiore a quella del 1797 (Figura 36).

Prese forma tra il Settecento e l’Ottocento il complesso edilizio appartenuto alla famiglia borghese De Petrinis, legata profondamente alle vicende cittadine del Risorgimento e dell’Unità nazionale, dal cui ceppo emerse la figura di Domenico De Petrinis (1849-1884), Sindaco benemerito di Sala e Deputato al Parlamento.

La costruzione è preceduta da uno spiazzo non molto ampio, chiuso a destra da un’altra imponente costruzione ed a sinistra da un giardino, in cui si trova un ottocentesco pozzo in pietra di Padula. Di là l’ingresso, nella volta dell’atrio, appare ben conservato lo stemma della famiglia in cui un’aquila bicipite campeggia tra un elmo chiomato in alto e tre cime di monti in basso a sinistra, oltre ad altri segni simbolici ed allegorici. Una lapide sulla facciata principale ricorda la breve sosta di Giuseppe Garibaldi (Figura 37).

Figura 36-37 – Palazzo De Petrinis

L’800 è però caratterizzato dalla realizzazione dell’odierna Piazza Umberto I come “foro” della città. In realtà sin dai tempi più remoti si erano dislocati gli edifici adibiti a rappresentare lo stato e la Pubblica Amministrazione: nel 1600 vi avevano sede le case dell’illustrissima università de La Sala ovvero case di corte, cioè edifici con locali dove si sistemavano magistrati e altre autorità, come governatori regi, che, di volta in volta, si trovavano ad essere designati nella terra di Sala a rappresentare in loco il potere centrale; nel 1700 si chiamò Piazza di Monte Oliveto, perché in prossimità della zona detta appunto Monte Oliveto, coltivata ad ulivi, così come appare anche evidente dall’incisione del Gatta del 1728.

Nell’800 continuò a chiamarsi con tale dizione; un atto del Decurionato del luglio 1850 deliberava “la costruzione di un muraglione sotto la Chiesa di San Biase, che sovrasta la pubblica piazza di Monte Oliveto”. Quindici anni più tardi, cioè nel maggio 1865, sopraggiunta l’unità nazionale, il Consiglio Civico, prevedendo una nuova sede comunale, ne approvava un progetto tecnico per lire 425. Redattore del progetto che contemplava la costruzione del Municipio e la ristrutturazione della Cappella di san Biagio, da adibire a casa abitabile, era l’architetto Paolo Scolpini (Figura 38).

Figura 38 – Cappella di S. Biase agli inizi del ’900

L’edificio, però, si dimostrò insufficiente ai nuovi bisogni della cittadina tanto che il 30 luglio 1878 il sindaco Domenico De Petrinis propose in consiglio comunale di ampliarlo “in modo che abbia tutti i vani da adibirsi ai diversi uffici con una capace sala per le adunanze consiliari. L’attuale fabbricato è suscettibile di corrispondere all’oggetto con poco ampliamento e con l’elevare di poco l’attuale piano della piazza; ossia, al piano inferiore, con poco rialzamento, si caccerebbero quattro magazzini, i quali costituirebbero una rendita che, capitalizzata, sarebbe il doppio della spesa che occorrerà per modificare l’attuale fabbricato” (Figura 39).

Figura 39 – Il Municipio agli inizi del ’900

Il 12 gennaio 1880, per completarne l’aspetto architettonico ed abbellirlo artisticamente, fu deliberato di dotarlo di un orologio alla francese, costruito da una ditta di Napoli per la somma di lire 1.700: furono poi aggiunte due nuove campane, fuse dalla ditta Accetta e Tarantino di Padula. In seguito fu deciso di decorare l’edificio dandone l’incarico alla ditta Fratelli Casella di Salerno.

Si chiamò Piazza Plebiscito ed il 2 settembre 1894 si scoprì una lapide per onorare Giordano Bruno, il martire fatto ardere vivo per non aver voluto rinnegare il suo pensiero.

Si crearono lungo tutto il Corso Vittorio Emanuele e per via Cesare Battisti una larga presenza di costruzioni ottocentesche di un certo interesse edilizio (Figura 40).

Figura 40 – Piazza Umberto I agli inizi del ’900

Con la costituzione di piazza Umberto I inizia il processo di estensione della città di Sala in maniera trasversale, avvicinandosi sempre di più verso la valle, e abbandonando il processo di espansione longitudinale lungo le curve di livello della Maddalena.


[Nota 1] L. Cassese, op. cit., p. 398

Dal ’900 fino ai giorni nostri

 

Nel Novecento occorre arrivare al censimento del ’31 per poter registrare la presenza di 8.943 abitanti. Ma, d’allora in poi, il sorgere delle prime sedi per l’istruzione superiore e dei primi uffici amministrativi di tipo comprensoriale, – unitamente alla nascita di alcuni opifici e ad una certa apertura alle attività per il commercio – incominciarono a determinare un lento consolidamento della popolazione, che, malgrado il perdurare dell’emigrazione, ancora sussiste. Nel ’51 gli abitanti, infatti erano saliti a 10.688, nel ’61 a 10.944, nel ’71 a 11.427, il 31 dicembre 2001 a 12.606 (fig.40).

Figura 40 – Il Vallo di Diano nel 1925.
Dalla Cartografia dell’Istituto Geografico Militare

Nel corso di quest’ultimo secolo e soprattutto negli anni Sessanta-Settanta, un’intensa attività edilizia da un lato e dall’altro una crescita del commercio hanno accelerato e marcato l’evoluzione di Sala da originario paese agricolo in centro sede di servizi e di attività economico-commerciali.

Alla luce della radicale trasformazione del tessuto socio-economico cittadino degli ultimi cinquant’anni, ben si comprende, dunque, il declino del centro storico, da tempo abbandonato dagli antichi nuclei gentilizi e borghesi locali, oggi pressoché privo delle attività artigiane che un tempo l’animarono; al contempo si spiega anche il graduale ma inesorabile spostamento delle principali attività commerciali e amministrative dell’Ottocento dal centro cittadino (Piazza Umberto I, corso Vittorio Emanuele) alle aree di più recente urbanizzazione, con maggiore disponibilità di spazi per il parcheggio lungo un asse che oggi si snoda dalle vie Mezzacapo-Matteotti fino a Trinità.

Lo sviluppo lungo la via Nazionale negli anni ’60

La situazione attuale del centro storico, nel quale sono evidenti e diffusi i segnali di modernizzazione delle originarie strutture edilizie sette-ottocentesche, i danni che vi ha apportato il terremoto del 23 novembre del 1980 e gli interventi che a quell’evento sono seguiti, nel confronto con l’espansione del moderno centro urbano, rendono vieppiù percepibile la portata della trasformazione avvenuta in questa seconda metà del secolo XX, di sicuro la più radicale e profonda che sia stata registrata dal 1497 ad oggi.

Lo splendido scorcio che si notava dalla vallata verso il centro di Sala fu deturpato dalla costruzione negli anni ’60 dalla pronunciata teoria di fabbricati condominiali che si andarono a realizzare a valle della via Nazionale.