SANTUARIO MADONNA DI PIETRASANTA
San Giovanni a
Piro e' un comune italiano di 3.859 abitanti
della provincia di Salerno in Campania.
Il patrimonio storico e artistico di S. Giovanni
a Piro comprende quindici cappelle che delineano
un vero e proprio itinerario di fede. Tra tutte
emerge, per posizione ed importanza, la Cappella
dedicata a Maria SS. di Pietrasanta, situata
all'incirca a 2 Km. dal centro abitato e a 650
mt. sul livello del mare. All'estremita'
meridionale del Golfo di Salerno si delinea, con
una forma trapezoidale, la terra del Cilento.
Le zone montuose, spesso impervie e selvagge,
ne rappresentano lo scheletro orografico, i
tanti paesi, ricchi di storia e di arte, la
linfa vitale. Non vi e' contrada cilentana che
non abbia avvenimenti da raccontare, tradizioni
da mostrare, storie da far rivivere. Mulattiere,
scale, ricoveri, muri di sostegno e una serie
interminabile di coperture con spioventi e
tegole laterizie disegnano luoghi dove l'uomo e
la natura sono perfettamente integrati fra loro.
Nel basso Cilento San Giovanni a Piro e'uno dei
tipici, piccoli centri, un angolo di mondo
dove un carattere di compattezza
contraddistingue la struttura urbana.
L'agglomerato urbano, stretto in un unico
abbraccio per evidenti scopi protettivi, erige
le sue case quasi l'una sull'altra in un
disegno edilizio fatto apposta per restare uniti
nell'ora del pericolo. Lungo stradine
acciottolate e stretti passaggi che sfuggono in
mille direzione il nucleo abitativo ''leva i
suoi comignoli fumiganti nell'azzurro terso del
cielo''.
Con questa citazione ci piace ricordare l'opera
''Il Cenobio Basiliano di San Giovanni a Piro",
scritta nel 1960 da Ferdinando Palazzo, che, con
estrema scrupolosita' e ardente passione, ha
garantito alle generazione future un imperituro
ricordo di tutto cio' che accadde alle falde del
monte Bulgheria intorno all'anno mille. Corre
l'obbligo di ringraziare, inoltre, Angelo Guzzo,
autore di tante opere sul Cilento. In questa
sezione storica ci siamo appropriati piu' volte
di sue espressioni, perche' ben rappresentano le
bellezze della nostra terra.
Popolazione
Bulgara - Il ciclopico monte di
Bulgheria domina e protegge, con la sua
mole il Ceraseto, il luogo delle memorie e dei
culti antichi del paese, il cuore di una
civilta' sopravvissuta alle orde barbariche, ai
saccheggi e alle devastazioni. Qui, dove il
declivio diventa piu' dolce, i ruderi sparsi del
celebre Cenobio, intitolato a San Giovanni
Battista, sembrano raccogliere, come parlanti
reliquie, le testimonianze dei secoli andati.
Il monte Bulgheria pare abbia preso il nome da
una colonia di Bulgari stanziatasi in questo
estremo lembo del Cilento intorno al 670 d.C. I
Bulgari, originari dell'Europa centro-orientale,
arrivarono in Italia fra il IV e il IX secolo.
Giunti nei pressi di Capo Palinuro, occuparono
le falde del Monte Bulgheria entrando per la
gola della Tragara, unica via d'accesso
all'entroterra. Si adattarono in un primo tempo
nelle grotte del monte, successivamente, sulle
colline e sulle alture, dando origine a borghi e
villaggi. Nonostante avessero trovato l'Italia
in condizioni deplorevoli per le funeste
conseguenze delle invasioni barbariche, della
peste e della carestia si fermarono nelle
nostre regioni. La ragione del loro insediamento
in questi luoghi fu soprattutto quella di
popolare e porre a coltura terre deserte
abbandonate.
I monaci Bizantini tra il VIII e il XI
secolo - Tra il IV ed il IX secolo il
Sud e, in modo particolare il Cilento, lungo la
costa si presentava pressoche' disabitato. Le
incursioni dei pirati saraceni avevano creato un
grande vuoto e soltanto all'interno, aggrappati
alle rocce, sospesi sulle colline
esistevano villaggi e piccoli centri La ripresa
sul territorio ebbe come protagonisti proprio i
centri monastici, da cui partirono le opere di
bonifica, di messa a coltura dei campi e la
formazione di piccoli villaggi agricoli che
avevano il compito di assistere viaggiatori,
mercanti e pellegrini, oltre che incrementare il
lavoro, il reddito e la popolazione. Queste
famiglie religiose furono uno dei piu' potenti
elementi di diffusione della lingua, del rito e
della cultura bizantina, tra l'VIII ed l' XI
secolo. Erano monaci che prendevano ispirazione
per la loro vita religiosa dagli scritti
ascetici e teologici di S. Basilio. La loro
attivita' andava dalle opere di agricoltura,
alla trascrizione dei codici, allo studio e
alle discussioni teologiche. I monaci, convinti
della transitorieta' della natura umana, si
sentivano estranei alle loro stesse abitazioni,
per questo motivo i loro monasteri erano poveri
e disadorni, per niente assimilabili alle
moderne strutture religiose. I cenobi piu'
piccoli erano chiamati celle o eremiti,
denominazioni passate poi, a dare il nome ad
alcuni paesi, come Celle di Bulgheria ed Eremiti.
Nei cenobi la vita si svolgeva facendo ogni
sorta di lavoro. L'opera dei monaci basiliani fu
imponente. Resero fertili zone selvose, fecero
piantagioni, costruirono frantoi e mulini,
ripararono strade, bonificarono zone allagate
dalle acque, costruirono villaggi agricoli
destinati a svilupparsi in importanti centri
urbani. Nel 990 d.C. fondarono a S. Giovanni a
Piro l'Abbadia di S. Giovanni Battista.
Tracce della vita basiliana -
I frati basiliani, dopo aver eretto il
nuovo Cenobio, dovettero ben presto badare alla
propria sicurezza, in quanto, per l'assoluta
impossibilita' di difesa, nulla avrebbero
potuto fare contro eventuali incursioni e
attacchi da parte della pirateria barbaresca.
Nella parte occidentale dell'Abbadia, a qualche
metro di distanza dall'annessa chiesa, fu
costruita dunque, a scopo di difesa e di
avvistamento sul mare, una massiccia torre
merlata dell'altezza di circa 20 metri. Di
queste costruzioni esiste intatta la chiesa ed
in ottime condizioni la torre, mentre del
convento rimangono solo pochi ed informi ruderi,
dai quali non traspare alcuna traccia
dell'antica gloria. Sia la chiesa che la torre,
per maggiore sicurezza in caso di pericolo,
erano collegate, probabilmente attraverso un
lungo camminamento sotterraneo, ad una grotta
nel fianco orientale del Monte di Bulgheria.
Esistono tuttora, in questo luogo, resti di
antiche costruzioni murarie erette a scopi
protettivi. Dell'esistenza di tale rifugio si ha
testimonianza in una delle norme contenute negli
Statuti del Gaza, con la quale viene imposto
all'Universita' del casale di S. Giovanni a Piro
di ricompensare il guardiano della grotta. Il
Palazzo ci parla, inoltre,di una cripta
sotterranea che, forse, veniva impiegata per la
celebrazione di alcuni riti, la quale aveva sul
muro del lato nord le tracce di un'antica
apertura, cosa questa che accredita l'ipotesi
secondo la quale la chiesa sarebbe stata
collegata alla grotta. Tale ipotesi, pero', non
ha potuto trovare conferma per l'ignoranza del
clero che, dopo averla divisa in settori, fece
di detta cripta delle macabre fosse carnaie, che
andarono in disuso solamente nel 1936, quando fu
posto in esercizio il nuovo cimitero. Solo
recentemente, per interessamento e su proposta
dell'Ispettore Onorario alle antichita' e ai
monumenti storici del Golfo di Policastro, prof.
Angelo Guzzo, il Cenobio e l'area circostante
sono stati sottoposti a vincolo monumentale
dalla Soprintendenza ai BAAAS di Salerno.
La figura di Teodoro Gaza e i suoi
statuti - Teodoro Gaza, nacque a
Tessalonica, nel 1398. Chiamato dal cardinale
Bessarione arrivo' a S. Giovanni a Piro nel 1462
e, proprio grazie alla sua spiccata personalita'
e ai suoi studi, l'Abazia ebbe un nuovo assetto
e nuove normative. Il 7 ottobre del 1466, dopo
quattro anni di duro lavoro, durante i
quali si era valso dell'aiuto di esperti
giuristi, compilo' gli ''Statuti'' o ''Capitoli'' della terra di S. Giovanni a Piro. Un piccolo
codice, composto originariamente da 49 articoli,
che regolava i rapporti tra il Cenobio e il
casale di S. Giovanni a Piro. Presentava norme
di diritto Civile, Penale, Amministrativo e di
Pubblica Sicurezza ed altri regolamenti per la
tutela della proprieta' e dell'amministrazione
della giustizia. Si dovette, pero', aspettare il
1520 per conferire forma pubblica agli "Statuti
del Gaza" che, nella stessa data, vennero anche
accettati e sottoscritti dagli esponenti
politici del luogo. Il Gaza durante il suo
mandato viaggio' molto, ma i suoi ultimi giorni
trascorsero, dice il Palazzo, ''nella verde oasi
e nel mistico silenzio delle sacre mura che lo
avevano accolto e confortato dopo il suo lungo
peregrinare''. Si spense nel 1475 e fu seppellito
nella chiesa del Cenobio di S. Giovanni
Battista, come attesta una lapide di marmo. Il
Cirelli autore del ''Regno delle due Sicilie
descritto ed illustrato'' a proposito degli ''uomini distinti'' cita
''Primo tra tutti per
tempo e per sapere (...) Teodoro Gaza, uomo di
greca eccellenza, di cui tutti sanno''. I cittadini di S. Giovanni a Piro, ad imperitura
memoria, hanno dedicato al Gaza la Scuola Media
Statale, una via ed un piazza nei pressi della
Chiesa Parrocchiale di S. Pietro Apostolo.
Assalti dei pirati Turchi - Nel
XVI secolo S. Giovanni a Piro, al pari dei
vicini centri costieri fu a lungo perseguitato
dalle continue e martellanti scorrerie dei
pirati. Una prima terribile incursione il borgo
la subi' nell'agosto del 1533 quando fu assalita
dal corsaro turco ''il Giudeo'', agli ordini di
Khair-ed-Din Barbarossa. Il corsaro sbarco' alla
Marina dell'Oliva, odierna Scario, uccidendo e
facendo schiave circa ottanta persone. I Padri
Basiliani, in seguito alla terribile incursione,
in comune accordo con i cittadini e gli
esponenti dell'Universita' di S. Giovanni a Piro,
ritennero opportuno cingere di mura tutta la
zona che conteneva il complesso abitato. Il
paese subi' un'altra incursione nel 1543, come
leggiamo da un'ordinanza dell'abate De Tommasi
che incriminava il custode della torre per aver
trascurato i suoi doveri e aver permesso che i
Turchi facessero schiave sei persone del posto.
Una sciagura ancora peggiore si abbatte' su S.
Giovanni a Piro la domenica del 10 luglio 1552.
Il corsaro turco Dragut Rais Bassa' sbarco' alla
Marina dell'Oliva con 123 galee assalendo nello
stesso tempo Vibonati, S.Giovanni a Piro, Bosco,
Torre Orsaia, Roccagloriosa.
Ultime vicende - Nell'anno 1561
l'antico Cenobio si presentava ormai in
completo sfacelo, in pieno abbandono e quasi
deserto. Venuta meno la funzione di centro
ascetico e culturale, il Cenobio basiliano passo',
nel 1587, a far parte, insieme con altri
monasteri ed abbadie del Meridione, del
ricchissimo patrimonio della Cappella Sistina di
Roma. Fu incaricato per l'amministrazione
dell'Abbadia il vescovo di Policastro, Mons.
Ferdinando Spinelli. Decisione, questa,
sicuramente non saggia se si pensa che di li' a
poco i conti Carafa della Spina, signori di
Policastro, si appropriarono di quelle terre
stabilendovi la propria dimora. Il vasto
territorio di S. Giovanni a Piro divenne ben
presto un vero e proprio feudo diocesano con
indebiti arricchimenti e con oppressioni e
soprusi di ogni genere. Le autorita' civili del
paese, insieme ai privati, denunciavano tutti i
soprusi commessi dal conte e dalla contessa di
Policastro nei confronti dei cittadini,
chiedendo a Roma di intervenire. Finalmente,
dopo anni di indifferenza e di inerzia, raccolte
le suppliche e le lamentele dei cittadini e di
cospicue personalita' di S. Giovanni a Piro, il
Consiglio d'Amministrazione della Cappella
Sistina incarico' di far luce sulla questione
l'avvocato Di Luccia, conferendogli regolare
mandato. Il giurista accetto' di sostenere le
ragioni dell'Universita' di S. Giovanni a Piro
riuscendo a porre nel giusto risalto la gravita'
della situazione e le indebite appropriazioni
dei conti Carafa di Policastro. Dal 1700
nessun'altra notizia si ha piu' della gloriosa
Commenda Basiliana. S. Giovanni a Piro
incomincio' il suo ritmo normale di vita, con
amministrazione propria ed in conformita' delle
norme legislative che venivano man mano
evolvendosi. Per la ristrettezza dei mezzi
economici, ma specialmente per la disagevole
posizione topografica, il piccolo centro cammino'
assai lentamente sulla via della civilta' e del
progresso. Contribuirono a rallentargli il
passo altre tristi vicende che si abbatterono
con particolare violenza sull'intera regione.
Nell'anno 1656 nel Regno di Napoli infieri'
orribilmente la peste che, dalla capitale, si
estese rapidamente nel Salernitano e nel Cilento
mietendo migliaia di vittime. Un secolo piu'
tardi, il paese fu spietatamente decimato dalla
carestia, che si ripete', con conseguenze ancora
piu' disastrose e mortali nell'anno 1817.
Nell'anno 1806 agli eventi naturali si
aggiunse, poi, la mano dell'uomo. Arrivarono in
paese le truppe di Gioacchino Murat, che si
scatenarono contro il Santuario di
Pietrasanta, avendolo scambiato per una fortezza
.
Origine del toponimo - Se gli storici si sono trovati quasi tutti d'accordo sulle vicende che hanno determinato la nascita del paese, non altrettanto si puo' dire per quel che concerne la derivazione filologica del toponimo ''a Piro''. A molti e' piaciuto ritornare ad un lontano passato per ricercare la sua origine da ''ton-apeiron'', termine greco che , secondo quanto scrive il Cappelli, uno tra gli studiosi del monachesimo basiliano nell'Italia meridionale, vuol dire ''il remoto'', ''il nascosto'', alludendo proprio all'invidiabile posizione geografica che aveva l'abbazia. Un'altra ipotesi lega il suddetto toponimo alla distruzione di Policastro, ricordando un altro vocabolo greco ''pur-roV'' che significa appunto ''fuoco''. Altri storici ritengono che il toponimo in questione faccia riferimento all'usanza dei profughi di rinnovare le memorie dell'abbandonata patria, per cui con il termine ''ab Epiro'', mutato poi, col passare dei secoli in ''a Piro'', si intende proprio il luogo di provenienza dei frati di San Basilio. A sostegno di tale tesi concorrerebbe lo stemma vescovile di Monsignor Fra' Nicola, eletto Vescovo di Policastro nel 1417, mentre era alla direzione del Cenobio Basiliano, stemma su cui si legge, tra l'altro: ''Nicolaus ... Sancti Ioannis ab Epiro''. Tra tante sofisticate e colte spiegazione emerge quella del Di Luccia che, "secondo quanto intese per tradizione dai vecchi di detto paese", trae l'essenza storica del toponimo dal dialetto indigeno. Nel linguaggio volgare pare, infatti, che il termine derivi da ''piro'' ovvero da albero di pero, in quanto nel luogo del sorto villaggio vi era appunto un grande albero di pero. Oggi, concorde con tale tesi, lo stemma del Comune rappresenta una pianta di pero con due leoni rampanti a testimonianza della decisa volonta' del popolo di resistere, ad ogni costo, alle difficolta'. (foto sopra SCARIO)
Da vedere inoltre: Cenobio bizantino e,
vicino al Santuario il panorama del golfo di
Policastro visto da CiolaAndrea , Scario
La maggioranza della popolazione e' di religione
cristiana appartenenti principalmente alla
Chiesa cattolica; il comune appartiene alla
Diocesi di Teggiano-Policastro.
cenobio bizantino
From "wikipedia ed il sito ufficiale del santuario di Pietrasanta" foto by Renato Leproux
Marina di Camerota (Marina re Cammarota in cilentano), e' il centro piu' popoloso (3 500 abitanti) del comune di Camerota, in provincia di Salerno, e' immersa nel Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano, quindi protetta dall'Unesco quale patrimonio mondiale dell'umanita' e riserva della biosfera.
Nel XVII secolo, Marina di Linfreschi non era
altro che un gruppo di case a Capo
dell'Infreschi, con pozzo, forno, deposito e
taverna, abitata da contadini e pescatori
lentiscosani addetti alle fortificazioni della
costa.
Molti marinai della costiera amalfitana e
sorrentina si stabiliscono sulla costa
immediatamente prima del porto naturale degli
Infreschi, ai piedi della torre di avvistamento
Layella, e l'abitato si espande intorno ad una
chiesa intitolata a San Nicola, esistente gia'
dal 1616 con anche un piccolo cimitero.
Il
17 luglio 1848, Ferdinando II Borbone firma il
decreto che stabilisce: "L'aggregato di case
lungo il litorale di Camerota prende il nome di
Marina di Camerota".
Nel XIX secolo ed agli inizi del XX, Marina di
Camerota ha subito il fenomeno dell'emigrazione,
rivolta in particolare verso il Sudamerica ed il
Venezuela: per i legami mantenuti con quelle
terre, in una piazza del centro, di fronte al
porto, e' stata eretta una statua al "Libertador"
venezuelano Simon Bolivar, al quale sono anche
dedicati la via principale del paese e uno dei
due cinema locali.
Il nome viene fatto anche risalire a quello
della fanciulla Kamaraton, bella come una dea,
ma dal cuore di pietra. La leggenda narra che il
nocchiero di Enea, Palinuro, se ne innamoro'
follemente, arrivando addirittura ad inseguire
la sua immagine nel fondo del mare, andando
incontro al suo destino. Colpevole di amore non
corrisposto, Kamaraton venne trasformata in
roccia da Venere: la roccia su cui oggi sorge
Camerota, testimone perenne di uno sfortunato
amore.
L'Ecomuseo Virtuale Paleolitico di Marina di
Camerota e' un affascinante museo nel quale le
moderne tecnologie multimediali permettono di
esplorare il territorio costiero
durante la preistoria. Un'avventura virtuale nel
tempo e nello spazio per scoprire le radici
dell'uomo, all'interno di un paesaggio
straordinario. Un museo nato per favorire la
conoscenza del territorio e delle grotte
preistoriche attraverso un linguaggio semplice e
comprensibile a tutti. La struttura, di recente
costruzione, e' stata realizzata per essere al
contempo centro di informazioni turistiche e
luogo di approfondimento per conoscere uno degli
elementi archeologici di maggiore importanza di
tutto il territorio: le Grotte della costa di
Camerota.
www.camerotamuvip.eu
From "Wikipedia" foto Renatinsky
BOSCO - CASA MUSEO DI JOSE ORTEGA (ALLIEVO DI PICASSO)
Fu rappresentante del realismo sociale della Guerra civile spagnola e uno dei membri gruppo "Estampa popular", di cui fu anche fondatore. A tredici anni si trasferi' a Madrid dove inizio' a realizzare i suoi primi dipinti e prese parte ai circoli antifranchisti, legando cosi' le sue esperienze successive e la sua opera al forte impegno politico e civile. A 26 anni fu condannato per reati di opinione, e dopo il carcere nel 1952 usci' il suo primo ciclo di xilografie. Nei primi anni sessanta inizio' il suo lungo esilio e si trasferi' a Parigi, dove gli fu assegnata dal Congresso Internazionale dei Critici d'Arte del Verucchio diretto da Giulio Carlo Argan la medaglia d'oro per la sua azione di lotta per la liberta'. Nel 1964 Antonello Trombadori organizzo' la sua prima mostra personale in Italia alla galleria La Nuova Pesa di Roma, alla quale seguirono quelle del 1968 e del 1974. Negli anni seguenti realizzo' numerose esposizioni a Filadelfia, Toronto, Saint Louis, Zurigo, Torino e Bruxelles. Nel 1969 realizzo' le venti incisioni della grande suite dei Segadores, ispirate dalle sofferenze dei lavoratori della terra. Nel 1971 lavoro' al ciclo Ortega-Durer, sessanta incisioni riguardanti il tema della guerra civile spagnola presentate al Museo di Norimberga e poi esposte nel Castello Sforzesco di Milano.
Si trasferi' a Matera nel 1973, dove aveva il suo laboratorio nella sede del Circolo culturale La Scaletta nei Sassi, sperimentando nuove tecniche nello scolpire bassorilievi e utilizzando la cartapesta in modo innovativo; qui realizzo' uno dei suoi cicli pittorici piu' importanti, Morte e nascita degli innocenti, presentato al Castello Sforzesco di Milano. Alla citta' di Matera, a cui era profondamente legato, lascio' in dono molte sue opere. Nel 1976 dopo sedici anni di esilio gli fu concessa l'autorizzazione per tornare liberamente in Spagna, e cosi' pote' esporre le sue opere a Madrid, Valencia e Bilbao, dove in particolare espose il grande ciclo di bassorilievi realizzato a Matera; lascio' nuovamente la Spagna nel 1980 per tornare in Italia, dove continuo' un'intensa attivita' espositiva, stabilendosi nel piccolo centro di Bosco, nella provincia di Salerno. Dichiaro' di aver scelto questo posto perche' gli ricordava la sua amata Spagna; egli stesso disse:
- Sto bene con voi, perche' qui ho trovato un'angoscia ed una miseria che sono quelle della mia gente. Perche' i colori sono quelli della mia terra. Sono rimasto perche' la pelle dei braccianti e' scura e secca, come quella dei contadini spagnoli. - |
Riusci' a comprare una casa (tutt'oggi visitabile) dove, seduto nel giardino antistante, si dedicava alla pittura di paesaggi e nature morte. La sua casa e' un vero e proprio museo, ove ancora si possono ammirare dipinti che la ornano sia internamente che esternamente. Guadagno' la stima e l'affetto di tutti in poco tempo: viene ricordato come un uomo solitario e pensieroso, ma al contempo generoso e riflessivo.
- Qui sono venuto a costruire un pezzetto di liberta'. Lavorare in queste terre, significa osservare e imparare costantemente, per portare poi con noi qualcosa di veramente puro e genuino che valga la pena di aver assimilato. Ci sono dei momenti nella vita dei popoli, in cui gli artisti sentono che un'arte a contenuto rivoluzionario e' una necessita'. Quindi non piu' l'arte per l'arte. Noi poeti, musicisti, pittori, noi creatori d' arte...contro coloro che predicano il disimpegno e l'evasione...sentiamo che il popolo ha bisogno di forme artistiche che chiamino all'unione per restituire liberta' e democrazia al paese. - |
All'entrata del paese si possono ammirare le sue famose maioliche che raffigurano i moti rivoluzionari risorgimentali del 1828 avvenuti a Bosco. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1990 a Parigi, un gruppo di oltre 50 pittori, scrittori e scultori spagnoli gli rese omaggio con una mostra nella Galleria Villanueva di Madrid.
From "The Funny Side of Physic" by A. D. Crabtre