SANTUARIO MADONNA DI PIETRASANTA

Il Santuario di Pietrasanta - Il patrimonio storico e artistico di S. Giovanni a Piro comprende quindici cappelle che delineano un vero e proprio itinerario di fede. Tra tutte emerge, per posizione ed importanza, la Cappella dedicata a Maria SS. di Pietrasanta, situata all'incirca a 2 Km. dal centro abitato e a 650 mt. sul livello del mare. Tra la chiesa e il paese esiste ancora oggi un profondo vallone coperto di macchie, di querce e di elci. In questa fitta boscaglia si snoda una vecchia via a gradini in pietra ed un tortuoso sentiero praticabile solo a piedi o a dorso d'asino.

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Oggi una larga strada carrabile s'inserisce perfettamente nel contesto storico ambientale e paesaggistico del luogo permettendo un comodo accesso al santuario.

Furono, molto probabilmente, i monaci Basiliani del vicino Cenobio di S. Giovanni Battista a scolpire, verso il 1200, sulla monolitica punta del monte Piccotta la statua della Madonna formando un solo corpo con la nicchia incavata nella pietra. Le caratteristiche che presenta la statua della Madonna sono, infatti, proprio quelle classiche della iconografia bizantina. La cappella rupestre con una piccola abside semicilindrica dedicata alla Vergine capace di contenere, in origine, appena poche decine di persone fu solo in seguito ingrandita dai devoti, che, riconoscenti dei benefici ricevuti dalla Vergine, affidarono a Lei la protezione del paese. Della costruzione originaria rimane, oggi, solo una parte dell'abside.

L'edificio e' costruito ad una sola navata e caratteristico ne risulta lo sviluppo non essendo allineata al presbiterio, in quanto questo fu realizzato sul fermo della roccia, ad occidente, su un piano irregolare. L'interno della chiesa, tutto in pietra e muratura, e' decorato a linee semplici con stucchi e festoni di angeli di colore bianco crema; le poche finestre creano un'atmosfera particolare, degna di un luogo di raccoglimento e preghiera, in pietra locale. Alla chiesa sono annessi alcuni locali per la conservazione di arredi tra cui le cinte votive, costruite in cera, con nastri e fiori e portate in processione, come segno di riconoscenza per grazia ricevuta.

Tali locali sono sorretti da cinque arcate e su altre quattro, chiuse da cancelli in ferro, poggia la facciata. La porta d' ingresso presenta un portale semplice ad arco, in pietra, con battenti in legno. All'entrata si trova l'acquasantiera in pietra, e di fronte ad essa vediamo l'altare maggiore. Una coppia di angeli, collocati ai lati del ciborio, sostituisce i due angeli originali in marmo bianco rubati da ignoti nel 1989. All'esterno, a sinistra, accanto alla sacrestia, sempre sul picco della roccia si eleva il campanile a tre piani, con due campane, cuspide a base quadrata ed otto finestre di m. 0,97 per m. 1,10. L'intonaco e' di colore rosa ed e' ornato con pietre scalpellate. Il lato di base e' di m. 2,10, l'altezza di m. 7,80. A pochi passi sotto il campanile c'e' una sorgente e lungo il viottolo che conduce ad essa e' fabbricata in muratura una lapide.

L'edificio e' stato restaurato e ampliato piu' volte. Un intervento fu necessario dopo il 1806, anno in cui la posizione strategica del santuario aveva tratto in inganno le truppe di Gioacchino Murat che, avendolo scambiato per un fortino militare, si scagliarono su di esso. Il santuario e' stato recentemente restaurato.

Nel 1988, in occasione dell'Anno Mariano, e' stato eretto un obelisco alla Madonna: sulle fondamenta di calcestruzzo e' montato un basamento in pietra a faccia vista sul quale si eleva uno stelo rivestito in travertino; sopra il capitello la statua della Madonna e' scolpita in marmo bianco di Carrara. Per giungere in cima, dov'e' posta la statua, bisogna scalare una singolare scalinata in pietra locale. Tutta la zona e'illuminata con lampade allo iodio, che rende il santuario simile ad un faro che vigila sull'anfiteatro acqueo del Golfo di Policastro.
 

SAN GIOVANNI A PIRO

San Giovanni a Piro e' un comune italiano di 3.859 abitanti della provincia di Salerno in Campania.
Il patrimonio storico e artistico di S. Giovanni a Piro comprende quindici cappelle che delineano un vero e proprio itinerario di fede. Tra tutte emerge, per posizione ed importanza, la Cappella dedicata a Maria SS. di Pietrasanta, situata all'incirca a 2 Km. dal centro abitato e a 650 mt. sul livello del mare.
All'estremita' meridionale del Golfo di Salerno si delinea, con una forma  trapezoidale, la terra del Cilento. Le zone montuose, spesso impervie e selvagge,  ne rappresentano lo scheletro orografico,  i tanti paesi,   ricchi  di  storia e di  arte, la linfa vitale. Non vi e' contrada cilentana che non abbia avvenimenti da raccontare, tradizioni da mostrare, storie da far rivivere. Mulattiere, scale, ricoveri,  muri di sostegno  e una serie interminabile di coperture con spioventi e tegole laterizie  disegnano luoghi dove l'uomo e la natura sono perfettamente  integrati fra loro.  Nel basso Cilento San Giovanni a Piro e'uno dei tipici, piccoli  centri, un angolo di mondo  dove un carattere di compattezza contraddistingue la struttura urbana. L'agglomerato urbano, stretto in un unico abbraccio per evidenti scopi protettivi, erige le sue case quasi l'una sull'altra  in un disegno edilizio fatto apposta per restare uniti nell'ora del pericolo. Lungo stradine acciottolate  e stretti passaggi che sfuggono in mille direzione il nucleo abitativo ''leva i suoi comignoli fumiganti nell'azzurro terso del cielo''.
 


Con questa citazione ci piace ricordare l'opera ''Il Cenobio Basiliano di San Giovanni a Piro", scritta nel 1960 da Ferdinando Palazzo, che, con estrema scrupolosita' e ardente passione,  ha garantito alle generazione  future un imperituro ricordo di tutto cio' che accadde  alle falde del monte Bulgheria  intorno all'anno mille. Corre l'obbligo di ringraziare, inoltre, Angelo Guzzo, autore di tante opere sul Cilento. In questa sezione storica ci siamo appropriati piu' volte di sue espressioni, perche'  ben rappresentano le bellezze della nostra terra.
Popolazione Bulgara  -     Il  ciclopico monte di Bulgheria domina  e protegge,  con  la  sua  mole  il Ceraseto, il luogo delle memorie e dei culti antichi  del paese, il  cuore di una civilta'  sopravvissuta alle orde barbariche, ai saccheggi e alle devastazioni. Qui, dove il declivio diventa piu' dolce,  i ruderi sparsi del celebre Cenobio, intitolato a San Giovanni Battista, sembrano raccogliere, come parlanti reliquie, le testimonianze dei secoli andati.  Il monte  Bulgheria pare abbia preso il nome da una colonia di Bulgari stanziatasi in questo estremo lembo del Cilento intorno al 670 d.C. I Bulgari, originari dell'Europa centro-orientale, arrivarono in Italia fra il IV e il IX secolo. Giunti nei pressi di Capo Palinuro, occuparono le falde del Monte Bulgheria entrando per la gola della Tragara, unica via d'accesso all'entroterra. Si adattarono in un primo tempo nelle grotte del monte, successivamente, sulle colline e sulle alture, dando origine a borghi e villaggi. Nonostante avessero trovato l'Italia in condizioni deplorevoli per le funeste conseguenze delle invasioni barbariche, della peste e della carestia  si fermarono nelle nostre regioni. La ragione del loro insediamento in questi luoghi fu soprattutto quella di popolare e porre a coltura terre deserte abbandonate.
 
I monaci Bizantini tra il VIII e il XI secolo - Tra il IV ed il IX secolo il Sud e, in modo particolare il Cilento, lungo la costa si presentava  pressoche' disabitato. Le incursioni dei pirati saraceni avevano creato un grande vuoto e soltanto all'interno,  aggrappati  alle  rocce,  sospesi  sulle  colline  esistevano villaggi e piccoli centri  La ripresa sul territorio ebbe come protagonisti proprio i centri monastici, da cui partirono le opere di bonifica, di messa a coltura dei campi e la formazione di piccoli villaggi agricoli che avevano il compito di assistere viaggiatori, mercanti e pellegrini, oltre che incrementare il lavoro, il reddito e la popolazione. Queste famiglie religiose furono uno dei piu' potenti elementi di diffusione della lingua, del rito e della cultura bizantina, tra l'VIII ed l' XI secolo. Erano monaci che prendevano ispirazione per la loro vita religiosa dagli scritti ascetici e teologici di S. Basilio. La loro attivita' andava dalle  opere  di agricoltura, alla  trascrizione  dei codici,  allo  studio e alle discussioni teologiche. I monaci, convinti della transitorieta' della natura umana, si sentivano estranei alle loro stesse abitazioni, per questo motivo i loro monasteri erano poveri e disadorni, per niente assimilabili alle moderne strutture religiose.  I cenobi piu' piccoli erano chiamati  celle o eremiti, denominazioni passate poi, a dare il nome ad alcuni paesi, come Celle di Bulgheria ed Eremiti. Nei cenobi  la  vita si svolgeva  facendo ogni sorta di lavoro. L'opera dei monaci basiliani fu imponente. Resero fertili  zone selvose, fecero piantagioni, costruirono frantoi e mulini, ripararono strade, bonificarono zone allagate dalle acque, costruirono villaggi agricoli destinati a svilupparsi in importanti centri urbani. Nel 990 d.C. fondarono a S. Giovanni a Piro l'Abbadia di S. Giovanni Battista.
 


Tracce della vita basiliana -  I   frati  basiliani,  dopo   aver  eretto   il   nuovo  Cenobio, dovettero ben presto badare alla propria sicurezza, in quanto, per l'assoluta impossibilita' di difesa, nulla  avrebbero  potuto fare contro eventuali  incursioni e attacchi da parte della pirateria barbaresca. Nella parte occidentale dell'Abbadia, a qualche metro di distanza dall'annessa chiesa,  fu  costruita dunque,  a  scopo di difesa e di avvistamento sul mare, una massiccia torre merlata dell'altezza di circa 20 metri. Di queste  costruzioni esiste intatta la chiesa ed in ottime condizioni la torre, mentre del convento rimangono solo pochi ed informi ruderi, dai quali non traspare alcuna traccia dell'antica gloria. Sia la chiesa che la torre, per maggiore sicurezza in caso di pericolo, erano collegate, probabilmente attraverso un lungo camminamento sotterraneo, ad una grotta nel fianco orientale del Monte di Bulgheria. Esistono tuttora, in questo luogo, resti di antiche costruzioni murarie erette a scopi protettivi. Dell'esistenza di tale rifugio si ha testimonianza in una delle norme contenute negli Statuti del Gaza, con la quale viene imposto all'Universita' del casale di S. Giovanni a Piro di ricompensare il guardiano della grotta. Il Palazzo ci parla, inoltre,di una cripta sotterranea che, forse, veniva impiegata per la celebrazione di alcuni riti, la quale aveva sul muro del lato nord le tracce di un'antica apertura, cosa questa che accredita l'ipotesi secondo la quale la chiesa sarebbe stata collegata alla grotta. Tale  ipotesi, pero', non ha potuto trovare conferma per l'ignoranza del clero che, dopo averla divisa  in settori, fece di detta cripta delle macabre fosse carnaie, che andarono in disuso solamente nel 1936, quando fu posto in esercizio il nuovo cimitero.   Solo recentemente, per interessamento e su proposta dell'Ispettore Onorario alle antichita' e ai monumenti storici del Golfo di Policastro, prof. Angelo Guzzo, il Cenobio e l'area circostante sono stati sottoposti a vincolo monumentale dalla Soprintendenza ai BAAAS di Salerno.


 La figura di Teodoro Gaza e i suoi statuti - Teodoro Gaza, nacque a Tessalonica, nel 1398.  Chiamato dal cardinale Bessarione arrivo' a S. Giovanni a Piro nel 1462 e, proprio grazie alla sua spiccata personalita' e ai suoi studi, l'Abazia ebbe un nuovo assetto e nuove normative.  Il 7 ottobre  del 1466, dopo  quattro  anni   di duro  lavoro, durante  i  quali si era valso dell'aiuto di esperti giuristi, compilo' gli  ''Statuti'' o ''Capitoli'' della terra di S. Giovanni a Piro. Un piccolo codice, composto originariamente da 49 articoli, che regolava i rapporti tra il Cenobio e il casale di S. Giovanni a Piro. Presentava norme di diritto Civile, Penale, Amministrativo e di Pubblica Sicurezza ed altri regolamenti per la tutela della  proprieta' e dell'amministrazione della giustizia. Si dovette, pero', aspettare il 1520 per conferire forma pubblica agli "Statuti del Gaza" che, nella stessa data, vennero anche accettati e sottoscritti dagli esponenti politici del luogo. Il Gaza durante il suo mandato viaggio' molto, ma i suoi ultimi giorni trascorsero, dice il Palazzo, ''nella verde oasi e nel mistico silenzio delle sacre mura  che lo avevano accolto e confortato dopo il suo lungo peregrinare''. Si spense nel 1475 e fu seppellito nella chiesa del Cenobio di S. Giovanni  Battista, come attesta una lapide di marmo. Il Cirelli autore del ''Regno delle due Sicilie descritto ed illustrato'' a proposito degli ''uomini distinti'' cita ''Primo tra tutti per tempo e per sapere (...) Teodoro Gaza, uomo di greca eccellenza, di cui tutti sanno''. I cittadini di S. Giovanni a Piro, ad imperitura memoria, hanno dedicato al Gaza  la Scuola Media Statale, una via ed un piazza nei pressi della Chiesa Parrocchiale di S. Pietro Apostolo. 
 


Assalti dei pirati Turchi - Nel XVI secolo S. Giovanni a Piro, al pari dei vicini centri costieri fu a lungo perseguitato dalle continue e martellanti scorrerie dei pirati. Una prima terribile incursione il borgo la subi' nell'agosto del 1533 quando  fu assalita dal corsaro turco ''il Giudeo'', agli ordini di Khair-ed-Din Barbarossa. Il corsaro sbarco' alla Marina dell'Oliva, odierna Scario, uccidendo e facendo schiave circa ottanta persone. I Padri Basiliani, in seguito  alla terribile incursione, in comune accordo con i cittadini e gli esponenti dell'Universita' di S. Giovanni  a Piro, ritennero opportuno  cingere di mura tutta la zona che conteneva il complesso abitato. Il paese subi' un'altra incursione nel 1543, come leggiamo da un'ordinanza dell'abate De Tommasi che incriminava il custode della torre per aver trascurato i suoi doveri e aver permesso che i Turchi  facessero schiave sei persone del posto.
 Una sciagura ancora peggiore si abbatte' su S. Giovanni a Piro la domenica del 10 luglio 1552. Il corsaro turco Dragut  Rais Bassa' sbarco' alla Marina dell'Oliva con 123 galee  assalendo nello stesso tempo Vibonati, S.Giovanni a Piro, Bosco, Torre Orsaia, Roccagloriosa.
 


 
Ultime vicende - Nell'anno 1561 l'antico Cenobio si presentava ormai  in completo  sfacelo, in  pieno  abbandono  e quasi deserto. Venuta meno la funzione di centro ascetico e culturale, il Cenobio basiliano passo', nel 1587, a far parte, insieme con altri monasteri ed abbadie del Meridione, del ricchissimo patrimonio della Cappella Sistina di Roma. Fu incaricato per l'amministrazione dell'Abbadia   il vescovo di Policastro, Mons. Ferdinando Spinelli. Decisione, questa, sicuramente non saggia se si pensa che di li' a poco  i conti Carafa della Spina, signori di Policastro, si appropriarono di quelle terre stabilendovi  la propria dimora. Il vasto territorio di S. Giovanni a Piro divenne ben presto  un vero e proprio feudo diocesano con indebiti arricchimenti e con oppressioni  e  soprusi di  ogni genere. Le autorita' civili del paese, insieme ai privati, denunciavano tutti i soprusi commessi dal conte e dalla contessa di Policastro nei confronti dei cittadini, chiedendo a Roma di intervenire. Finalmente, dopo anni di indifferenza e di inerzia, raccolte le suppliche e le lamentele dei cittadini e di cospicue personalita' di S. Giovanni a Piro, il Consiglio d'Amministrazione della Cappella Sistina incarico' di far luce sulla questione l'avvocato Di Luccia, conferendogli regolare mandato. Il giurista accetto' di sostenere le ragioni dell'Universita' di S. Giovanni a Piro riuscendo  a porre nel giusto risalto la gravita' della situazione e le indebite appropriazioni dei conti Carafa di Policastro. Dal 1700 nessun'altra notizia si ha piu' della gloriosa Commenda Basiliana. S. Giovanni a Piro incomincio' il suo ritmo normale di vita, con amministrazione propria ed in conformita' delle norme legislative che venivano man mano evolvendosi. Per la ristrettezza dei mezzi economici, ma specialmente per la disagevole posizione topografica, il piccolo centro cammino' assai lentamente sulla via della civilta' e del progresso. Contribuirono a rallentargli  il passo altre tristi vicende che  si abbatterono con particolare violenza sull'intera regione. Nell'anno 1656 nel Regno di Napoli infieri' orribilmente la peste che, dalla capitale, si estese rapidamente nel Salernitano e nel Cilento mietendo migliaia di vittime. Un secolo piu' tardi, il paese fu spietatamente decimato dalla carestia, che si ripete', con conseguenze ancora piu' disastrose e mortali nell'anno 1817. Nell'anno  1806  agli  eventi  naturali si aggiunse, poi, la mano dell'uomo. Arrivarono in paese le truppe di Gioacchino Murat, che si scatenarono contro il Santuario  di   Pietrasanta, avendolo scambiato per una fortezza  .

 Origine del toponimo - Se gli storici si sono trovati quasi tutti d'accordo sulle vicende che hanno determinato la nascita del paese, non altrettanto si puo' dire per quel che concerne la derivazione filologica del toponimo ''a Piro''. A molti e' piaciuto ritornare ad un lontano passato  per ricercare la sua origine da ''ton-apeiron'', termine greco che , secondo quanto scrive il Cappelli,  uno  tra gli  studiosi del monachesimo basiliano nell'Italia meridionale, vuol dire ''il remoto'', ''il nascosto'', alludendo proprio  all'invidiabile  posizione geografica che aveva l'abbazia.   Un'altra ipotesi lega il  suddetto toponimo alla distruzione di Policastro, ricordando un altro  vocabolo greco  ''pur-roV'' che significa appunto ''fuoco''. Altri storici ritengono che il toponimo in questione faccia riferimento all'usanza dei profughi di rinnovare le memorie dell'abbandonata patria,  per cui  con il termine  ''ab Epiro'',  mutato poi, col passare dei secoli in ''a Piro'', si   intende proprio il luogo di provenienza dei frati di San Basilio. A sostegno di tale tesi concorrerebbe lo stemma vescovile di Monsignor Fra' Nicola, eletto Vescovo di Policastro nel 1417, mentre era alla direzione del Cenobio Basiliano, stemma su cui si legge, tra l'altro: ''Nicolaus ... Sancti  Ioannis ab Epiro''.  Tra tante sofisticate e colte spiegazione emerge quella del Di Luccia che, "secondo quanto intese per tradizione dai vecchi di detto paese",  trae l'essenza storica del toponimo dal dialetto indigeno. Nel linguaggio volgare pare, infatti, che  il termine derivi da ''piro'' ovvero da albero di pero, in quanto nel luogo del sorto villaggio vi era appunto un grande albero di pero.  Oggi, concorde con tale tesi, lo stemma del Comune rappresenta  una pianta di pero con due leoni rampanti a testimonianza della decisa volonta' del popolo di resistere, ad ogni costo, alle difficolta'.  (foto sopra SCARIO)

 

 

Da vedere inoltre: Cenobio bizantino e, vicino al Santuario il panorama del golfo di Policastro visto da CiolaAndrea , Scario
La maggioranza della popolazione e' di religione cristiana appartenenti principalmente alla Chiesa cattolica; il comune appartiene alla Diocesi di Teggiano-Policastro.

cenobio bizantino

From "wikipedia ed il sito ufficiale del santuario di Pietrasanta" foto by Renato Leproux

MARINA DI CAMEROTA

Marina di Camerota (Marina re Cammarota in cilentano), e' il centro piu' popoloso (3 500 abitanti) del comune di Camerota, in provincia di Salerno, e' immersa nel Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano, quindi protetta dall'Unesco quale patrimonio mondiale dell'umanita' e riserva della biosfera.


Nel XVII secolo, Marina di Linfreschi non era altro che un gruppo di case a Capo dell'Infreschi, con pozzo, forno, deposito e taverna, abitata da contadini e pescatori lentiscosani addetti alle fortificazioni della costa.

 

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Molti marinai della costiera amalfitana e sorrentina si stabiliscono sulla costa immediatamente prima del porto naturale degli Infreschi, ai piedi della torre di avvistamento Layella, e l'abitato si espande intorno ad una chiesa intitolata a San Nicola, esistente gia' dal 1616 con anche un piccolo cimitero.
Il 17 luglio 1848, Ferdinando II Borbone firma il decreto che stabilisce: "L'aggregato di case lungo il litorale di Camerota prende il nome di Marina di Camerota".

Nel XIX secolo ed agli inizi del XX, Marina di Camerota ha subito il fenomeno dell'emigrazione, rivolta in particolare verso il Sudamerica ed il Venezuela: per i legami mantenuti con quelle terre, in una piazza del centro, di fronte al porto, e' stata eretta una statua al "Libertador" venezuelano Simon Bolivar, al quale sono anche dedicati la via principale del paese e uno dei due cinema locali.
Il nome viene fatto anche risalire a quello della fanciulla Kamaraton, bella come una dea, ma dal cuore di pietra. La leggenda narra che il nocchiero di Enea, Palinuro, se ne innamoro' follemente, arrivando addirittura ad inseguire la sua immagine nel fondo del mare, andando incontro al suo destino. Colpevole di amore non corrisposto, Kamaraton venne trasformata in roccia da Venere: la roccia su cui oggi sorge Camerota, testimone perenne di uno sfortunato amore.
L'Ecomuseo Virtuale Paleolitico di Marina di Camerota e' un affascinante museo nel quale le moderne tecnologie multimediali permettono di
esplorare il territorio costiero durante la preistoria. Un'avventura virtuale nel tempo e nello spazio per scoprire le radici dell'uomo, all'interno di un paesaggio straordinario. Un museo nato per favorire la conoscenza del territorio e delle grotte preistoriche attraverso un linguaggio semplice e comprensibile a tutti. La struttura, di recente costruzione, e' stata realizzata per essere al contempo centro di informazioni turistiche e luogo di approfondimento per conoscere uno degli elementi archeologici di maggiore importanza di tutto il territorio: le Grotte della costa di Camerota. www.camerotamuvip.eu

 

 

From "Wikipedia" foto Renatinsky

LA CARTINA e Bosco (Fraz. di S. Giovanni a Piro)

BOSCO - CASA MUSEO DI JOSE ORTEGA (ALLIEVO DI PICASSO)

Fu rappresentante del realismo sociale della Guerra civile spagnola e uno dei membri gruppo "Estampa popular", di cui fu anche fondatore. A tredici anni si trasferi' a Madrid dove inizio' a realizzare i suoi primi dipinti e prese parte ai circoli antifranchisti, legando cosi' le sue esperienze successive e la sua opera al forte impegno politico e civile. A 26 anni fu condannato per reati di opinione, e dopo il carcere nel 1952 usci' il suo primo ciclo di xilografie. Nei primi anni sessanta inizio' il suo lungo esilio e si trasferi' a Parigi, dove gli fu assegnata dal Congresso Internazionale dei Critici d'Arte del Verucchio diretto da Giulio Carlo Argan la medaglia d'oro per la sua azione di lotta per la liberta'. Nel 1964 Antonello Trombadori organizzo' la sua prima mostra personale in Italia alla galleria La Nuova Pesa di Roma, alla quale seguirono quelle del 1968 e del 1974. Negli anni seguenti realizzo' numerose esposizioni a Filadelfia, Toronto, Saint Louis, Zurigo, Torino e Bruxelles. Nel 1969 realizzo' le venti incisioni della grande suite dei Segadores, ispirate dalle sofferenze dei lavoratori della terra. Nel 1971 lavoro' al ciclo Ortega-Durer, sessanta incisioni riguardanti il tema della guerra civile spagnola presentate al Museo di Norimberga e poi esposte nel Castello Sforzesco di Milano.

Si trasferi' a Matera nel 1973, dove aveva il suo laboratorio nella sede del Circolo culturale La Scaletta nei Sassi, sperimentando nuove tecniche nello scolpire bassorilievi e utilizzando la cartapesta in modo innovativo; qui realizzo' uno dei suoi cicli pittorici piu' importanti, Morte e nascita degli innocenti, presentato al Castello Sforzesco di Milano. Alla citta' di Matera, a cui era profondamente legato, lascio' in dono molte sue opere. Nel 1976 dopo sedici anni di esilio gli fu concessa l'autorizzazione per tornare liberamente in Spagna, e cosi' pote' esporre le sue opere a Madrid, Valencia e Bilbao, dove in particolare espose il grande ciclo di bassorilievi realizzato a Matera; lascio' nuovamente la Spagna nel 1980 per tornare in Italia, dove continuo' un'intensa attivita' espositiva, stabilendosi nel piccolo centro di Bosco, nella provincia di Salerno. Dichiaro' di aver scelto questo posto perche' gli ricordava la sua amata Spagna; egli stesso disse:

- Sto bene con voi, perche' qui ho trovato un'angoscia ed una miseria che sono quelle della mia gente. Perche' i colori sono quelli della mia terra. Sono rimasto perche' la pelle dei braccianti e' scura e secca, come quella dei contadini spagnoli. -

Riusci' a comprare una casa (tutt'oggi visitabile) dove, seduto nel giardino antistante, si dedicava alla pittura di paesaggi e nature morte. La sua casa e' un vero e proprio museo, ove ancora si possono ammirare dipinti che la ornano sia internamente che esternamente. Guadagno' la stima e l'affetto di tutti in poco tempo: viene ricordato come un uomo solitario e pensieroso, ma al contempo generoso e riflessivo.

- Qui sono venuto a costruire un pezzetto di liberta'. Lavorare in queste terre, significa osservare e imparare costantemente, per portare poi con noi qualcosa di veramente puro e genuino che valga la pena di aver assimilato. Ci sono dei momenti nella vita dei popoli, in cui gli artisti sentono che un'arte a contenuto rivoluzionario e' una necessita'. Quindi non piu' l'arte per l'arte. Noi poeti, musicisti, pittori, noi creatori d' arte...contro coloro che predicano il disimpegno e l'evasione...sentiamo che il popolo ha bisogno di forme artistiche che chiamino all'unione per restituire liberta' e democrazia al paese. -

All'entrata del paese si possono ammirare le sue famose maioliche che raffigurano i moti rivoluzionari risorgimentali del 1828 avvenuti a Bosco. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1990 a Parigi, un gruppo di oltre 50 pittori, scrittori e scultori spagnoli gli rese omaggio con una mostra nella Galleria Villanueva di Madrid.

From "The Funny Side of Physic" by A. D. Crabtre

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